OPERA NUDA
- TRESHTAURO
- 18 dic 2018
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 19 dic 2018
L’arte che si svela e rivela
Riccardo Brugnaro

L’audace restauratore si approccia ad un’opera con un timore reverenziale tale da imporgli, prima anche solo di sfiorarla, di chiedersi se la conosce abbastanza per farlo e in che modo potrà mai muoversi sulla sua materia. È un po’ come tenere tra le braccia un neonato, che non si sa mai bene come prenderlo e pare troppo fragile anche solo per provarci.
È un inguaribile premuroso, sotto sotto, lui che, non a caso, ha ispirato libri come “Restauro timido” della Politi. Perché la timidezza è un pregio che non contraddice il suo coraggio e anche una lieve carezza può generarsi da intenzioni decise.
I tempi però stringono in maniera scorsoia, tolgono il fiato. L’onorevole respiro iniziale è rotto dai ticchettii delle lancette. Il tepore della timidezza rischia di sfociare in una (de)formazione professionale, in una fredda paura che congela ogni prima mossa.
Il restauro abbia inizio!
La prima maniera di studiare un’opera è l’analisi non invasiva, quella che l’opera non la modifica, ma, appunto, la studia, quindi ama, dalla distanza di sicurezza dettata dal buon senso, come quella invisibile formata dal volume della culla.
La diagnostica si concede per andare oltre ai veli del tempo e della storia sulla materia, al fine poi, se opportuno, di rimuoverli. Finalmente si gode dell’opera nuda, senza le maschere imposte dal gusto, dalla moda, dalla religione, dalla politica, che prima ne alteravano presuntuose la pelle e il senso. Si parla dunque di ri-velazione oppure, per aggirare ogni ambiguità etimologica, di svelamento.

Il ristabilimento dell’unità originaria, voleva Brandi. Svelare l’interezza originale, spesso spezzata da strati di ridipinture e di rifacimenti, sarebbe però scempio storico qualora la rimozione dovesse andare a distruggere un documento senza documentare se stessa. Al contempo dovere estetico e, talvolta, etico, se l’aggiunta in questione arrivasse a deturpare, snaturare e offuscare la pelle originaria, quella con le sue rughe ma i pori che almeno respirano.
Ma non è un paradosso?
Se c’è l’interesse a indagare, e c’è perché l’audace è fiero scopritore, allora giustificando, annientando l’imbarazzo, è possibile discernere cosa, come e quanto togliere dalle stratificazioni sopra l’opera originale. Ecco che si aprono infinite strade, quando dopo le valutazioni opportune si può, più sicuri di sé, afferrare tra le braccia quella delicata creatura che è l’arte e smuoverla dalla culla del tempo.
Risale al 1890 il primo intervento di rimozione totale di una ridipintura. È quando la dominanza amatoriale del spesso basta un qualche ritocco perché un quadro trovi un compratore (G. Bedotti in De la restauration des tableaux, 1837) comincia a lasciare il posto a un’intelligenza critica, in risposta alla richieste di “genuinità”, di, appunto, opere con rughe ma con i pori che almeno respirano. È del Cavenaghi la buona azione, sul Poeta laureato di Giovanni Bellini. La prima di una serie, prima ancora della diagnostica. Come questa, altre opere sono state “liberate” da restauratori sempre più Restauratori e in tempi più moderni sono riuscite a stupire, a sorprendere, a rivelare i segreti nascosti da mani schiave di epoche diverse, senza scrupoli.
È il caso della Madonna con Bambino del Maestro della Maddalena, effige simbolo della “Firenze Restaura” del 1972. Siamo dopo quell'alluvione che tanto tolse ma che molto riuscì, per coraggiosa reazione, a dare. Sotto a un integrale rifacimento del XVIII secolo viene scoperto, contro ogni aspettativa, un dipinto di mezzo millennio prima, dell’anonimo fiorentino. L’immagine del durante-intervento parla da sé e basterebbe ad ammutolire, e un po’ a confondere, tutti i profani del mestiere. Gli stessi che invece di bearsi nell'ammirazione silenziosa del restauro, ne sminuiscono il fascino o, più in generale, additano i pochi colpevoli piuttosto che i molti eroi. La sorpresa è immensa e non rimane che perdersi nelle immagini che la documentano.
Se si tralasciano per un attimo i Maestri da copertina, casi di svelamenti e sorprese inaspettate si affrontano spesso su opere minori, sulle testimonianze più marginali, quelle che ai libri d’arte fanno solo da tacita cornice, ma che se le si sa ascoltare hanno da urlare.
Su questi “modesti” tesori, rispetto ai grandi capolavori, è più facile trovare immotivate coperture, assurdi interventi passati d’ogni genere. Erano più leciti e facili da realizzare proprio per il fatto che non si trattava di opere illuminate dai riflettori. Ogni intervento, anche il più invasivo, sarebbe stato mimetico.
Esempi lampanti sono gli ex voto del santuario della chiesa di Santa Maria dei Miracoli di Lonigo (Vicenza), segni della grazia che il divino ha concesso al devoto, che per ricambiare vi ha dedicato un dono. Nelle immagini sotto si nota il prima e il dopo di una rimozione di una campitura verdone scuro, probabilmente fatta con l’intento di aggiornamento e riutilizzo della tavoletta in tempi più recenti, poi non portato a conclusione. È possibile vedere un nobile sopravvissuto alle onde di un limpido torrente, seguito da una barca di frati che a mani giunte pregano la Vergine per la sua salvezza.
Svelare lentamente, un millimetro alla volta, ciò che poi avrebbe dato un senso alla rappresentazione, è stato come pian piano aprire un forziere sigillato da quasi seicento anni.


Oltre a questi segreti non autografi, nel senso di imposti dal tempo e realizzati da altre mani, molte sculture o dipinti nascondono cartigli, messaggi, lettere, simboli, oggetti, che l’autore stesso dell’opera ha deciso di includere, letteralmente, all'interno del suo lavoro, per comunicare qualcosa ai posteri.
Siamo nella Chiesa di St. Águeda, nella Spagna settentrionale. Nel restauro di un crocifisso ligneo policromo del XVIII secolo, nell'atto di toglierne un massello di chiusura, sono comparsi, all'interno della cavità del busto della scultura, due manoscritti del 1777. Tutto molto ben conservato. Il merito è di un cappellano della cattedrale di Burgo de Osma, un certo Minguez. Qui egli non solo raccoglie alcuni dati riguardanti il “Cristo-capsula del tempo”, ma descrive anche la situazione politica nazionale dell’epoca, le attività economiche più proficue, l’andamento delle attività agricole con specifiche sui vari cereali e sulla produzione di vino. Poi lo svolgimento di una giornata tipo, racconta dei giochi e dei divertimenti ma per bilanciare anche delle malattie che corrodevano il popolo.


Quello che sarebbe potuto essere un momento di manutenzione “standard” ha sbalordito tanto da togliere il fiato, anzi di più, da far esalare l’ultimo proprio, per respirare di quello dell’arte e della storia. Perché, d'altronde, quale restauro può definirsi standard? Quale va come si era previsto?
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