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Quanto scientifici siamo quando conserviamo un’opera d’arte?

Aggiornamento: 18 dic 2018


Andrea Cailotto


Un intervento di restauro è basato sull'esperienza e la tecnica dell’operatore, ma queste non sono sufficienti. A far da supporto vi sono le discipline scientifiche.


Microscopio polarizzatore da mineralogia - corso di diagnostica per i beni culturali "1". Anno 2017/2018 quarto anno.
Microscopio polarizzatore da mineralogia - corso di diagnostica per i beni culturali "1". Anno 2017/2018 quarto anno.

Andare al museo per acculturarsi o godere della bellezza dell’opera d’arte è una attività comune. Ammirare la lucentezza di una statua, la brillantezza dei colori di un quadro; sono momenti imperdibili che suscitano meraviglia e stupore. Ma che delusione, quando vediamo un marmo sporco e lesionato, un affresco lacunoso di cui vediamo solo poche tracce.

Le situazioni in cui siamo costretti a vedere un’opera malconcia, che suscita solo orrore e indignazione sono poche, ma quando succede si è soliti commentare: “Vergogna. Che brutta! Io l’avrei sistemata.


Fortunatamente, questi inconvenienti sono rari grazie alle esperienze e conoscenze maturate dai restauratori. Ma in cosa consistono queste conoscenze?

Normalmente si parlerebbe di materie umanistiche e di belle arti. Invece a rendersi necessarie sono le discipline scientifiche: chimica, fisica, biologia, matematica, geologia, nessuna esclusa. Col passare del tempo, il restauro si è sempre più settorializzato. Hanno così ottenuto rilevanza le scienze derivate come la spettrofotometria o la mineralogia. Negli ultimi anni anche l’informatica ha acquisito un ruolo fondamentale.


Ma perché si rendono necessarie?

Studiare un’opera d’arte di prassi porta ad interessarsi ad aspetti storico artistici. Si cerca di comprendere lo stile, affrontare la tecnica e assumere quelle poche informazioni sulla materia. Lo si fa per motivi di studio o diletto.

Nella conservazione dell’opera d’arte non è abbastanza. E’ necessario scavare più affondo svelando l’intimità dell’opera d’arte. Arrivare a conoscere dettagli microscopici e invisibili che portano ad una piena consapevolezza e ad una maggiore sicurezza, prima dell’intervento.

Ogni opera d’arte non è solo un ammasso di colore o di pietra. Certo, l’opera ha anche una sua storicità. Ma più importanti sono gli aspetti celati alla vista e molto spesso ritenuti banali. Quanto può scaldarsi un blocco di pietra al sole? Quanto vapore acqueo può assorbire una tavola di legno? La luce può danneggiare un quadro?

Rispondere a queste domande non è facile. Per fortuna vengono in aiuto discipline quali: la petrografia, l’igrometria e la fotometria.


Ma nella pratica?

Nulla è più adeguato di un esempio per far chiarezza. In una piccola pieve i magnifici affreschi sono coperti da una coltre grigio nerastra. Alla base della muratura crescono ciuffi di muffa bianca. Dalla serie di monofore entrano accecanti fasci di luce, che scaldano la parete antistante.

Sembra tutto tranquillo. Invece gli affreschi stanno subendo un lento ed inesorabile degrado. Come è possibile rallentarlo?

Come prima cosa occorre raccogliere informazioni. Per farlo sono necessarie quelle discipline scientifiche citate pocanzi. Identificare la tipologia di pietra e di malta che costituiscono la muratura e gli intonaci è fondamentale. E’ possibile farlo attraverso le indagini petrografiche e mineralogiche. In laboratorio tramite diverse tecniche diagnostiche come la diffrattometria a raggi x è possibile identificare con estrema precisione i minerali costituenti un frammento di intonaco. Con l’analisi al microscopio elettronico a scansione (SEM) oggi si è in grado di osservare un cristallo di argilla.




Quella muffa bianca spuntata alla base della muratura in realtà sono cristalli di sale. Sono stati identificati dalle analisi diagnostiche di laboratorio. Normalmente si riscontrano solfati, nitrati, carbonati; terribili cristalli che nella loro crescita esercitano pressioni tali da danneggiare gli intonaci, fino a farli cadere. Ma come li si elimina, senza distruggere la parete? C’è chi li gratta via, ma poi questi rispuntano nuovamente. Che scienze usiamo?

Tramite lo studio della fluidodinamica, l’elettrodinamica, la termodinamica, l’igrometria, la chimica atomica è possibile ottenere quelle conoscenze che permettono di agire anche in maniera non invasiva. Conoscere la struttura della molecola d’acqua e le sue proprietà è un buon punto di partenza. Si ha modo di apprendere in merito al fenomeno di risalita capillare e sulle dinamiche di efflorescenza e sub efflorescenza salina. Ecco che la crescita spontanea dei cristalli di sale ha un senso. E’ dimostrata dalle dinamiche dei parametri ambientali. In particolare a causa di due pesti indisciplinate: la temperatura e l’umidità. Con appositi strumenti da laboratorio si acquisiscono i valori numerici in funzione del tempo, di questi due così detti parametri termoigronometrici. Così che capita di vedere a ridosso delle murature degli strani apparecchi. Questi non sono altro che misuratori di umidità e temperatura come i datalogger. Ve ne sono altri, due in particolar modo saranno usati dopo, sono: il luxometro e il termometro IR. Questi dispositivi vengono lasciati in loco per un periodo prolungato o usati al momento della misura. Alla fine della alla campagna di rilevamento si ottengono dei dati relativi alla situazione generale.

Sapere come varia l’umidità e la temperatura all’interno della piccola chiesetta non basta. Conoscere le cause delle variazioni è il passo successivo. Queste possono essere molte. Quasi tutte sono estrinseche alla piccola pieve. L’orientazione, il clima con le sue frequenti precipitazioni, la composizione del sottosuolo, le dinamiche dell’ecosistema circostante. Si, anche le piante attorno all’edificio fanno la differenza. Ed ecco dunque che oltre a sfruttare nozioni di: meteorologia, geologia e biologia è necessario calarsi nelle profondità di queste, estraendo informazioni anche dalla botanica e la microbiologia.

Una delle cause che sembra avere minor impatto, in realtà è una delle più pestifere. Si tratta dell’orientazione. La piccola pieve è orientata in modo tale che gli affreschi sono colpiti direttamente dalla luce solare per la gran parte della giornata.


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