RESTAURO SENZA MATERIA: UNA REALTÀ
- TRESHTAURO
- 18 dic 2018
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 19 dic 2018
Tecnologie 3D: nuove frontiere del restauro ridanno vita a capolavori irrimediabilmente danneggiati e altrimenti condannati a scomparire.
Giulia Passerini
Tutta la storia dell’arte porta con sé i vuoti lasciati da capolavori andati perduti per sempre. Numerose le cause: atti volontari, in cui gli artisti hanno deliberatamente distrutto le proprie opere, cause “minori” come naufragi, sommosse popolari, successioni di papi o sovrani oppure cause di natura religioso-morale. A queste si aggiungono tragici eventi come terremoti, incendi, guerre e più recentemente attentati terroristici.
C’è la necessità dunque, con sempre maggiore urgenza, di restituire all’umanità queste opere ferite, perché non scompaiano dal nostro patrimonio artistico e culturale.
E quando dell’opera rimane solo il ricordo o qualche minima parte, che fare? Arrendersi e piangerne la perdita o reagire e cercare nuove frontiere di restauro?
Impegnata in prima linea in questa lotta contro l’oblio è la figura del restauratore moderno che, accanto alle metodologie tradizionali, ha come nuova alleata la tecnologia digitale, in particolare la modellazione 3D.
E’ infatti sempre più comune trovare la tecnologia al servizio dei beni culturali, prestandosi questa alla realizzazione non solo di integrazioni di parti mancanti, ma anche alla nuova creazione di opere completamente distrutte, che diventano così fonte di documentazione storico-artistica.
La ricostruzione delle parti dei siti archeologici danneggiate dall’Isis tra il 2015 e il 2016, in una serrata campagna iconoclasta distruttiva, è solo uno dei diversi esempi di applicazione della modellazione digitale per il restauro.
L’impossibilità di recuperare la materia millenaria delle opere assire e romane, progressivamente distrutte dagli Jihadisti, ha reso impraticabile un restauro tradizionale. L’unica via per far tornare a vivere capolavori come quelli di Mosul o Palmira è stata la ricostruzione dei modelli digitali, attraverso la documentazione fotografica a disposizione e la successiva stampa 3D dei manufatti. Il restauro delle due sculture di busti appartenenti al museo di Damasco, danneggiate gravemente dalle azioni vandaliche dell’Isis, e la ricostruzione completa dell’Arco di Palmira ne sono un esempio.
Grazie allo studio dell’IsCR (Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro) di Roma e alla collaborazione con informatici e ingegneri, impiegando tecnologie di laser scanning e successiva ricostruzione 3D del modello virtuale, la parte mancante dei volti è stata integrata, ridonando uniformità all’opera, ma distinguendosi nettamente e dichiarando la reversibilità completa dell’intervento.
Per l’Arco di Palmira, raso al suolo durante un bombardamento, parliamo invece di una ricostruzione completa dell’architettura che, pur mantenendo le stesse caratteristiche dell’originale, non si pone come falso artistico, ma diventa documento storico, esposto in diverse città, simbolo di opposizione alla distruzione.
Il restauro virtuale si differenzia da quello tradizionale non solo per i mezzi utilizzati per la realizzazione dell’intervento, ma anche per le diverse possibilità di interpretazione dello stesso. Sono infatti possibili un approccio filologico (come il progetto “Initial Training Network for Digital Cultural Heritage”), volto a ricreare l’opera attraverso un modello 3D realizzato grazie alle immagini acquisite, e uno più creativo (progetto “Material Speculation: Isis) che, pur basandosi sul materiale fotografico presente e sulla realizzazione del modello 3D, dà importanza alla trasmissione delle informazioni riguardanti l’opera - l’artista Allahyari, ad esempio, include all’interno dei suoi modelli stampati una flash drive che contiene immagini, mappe, pdf e video raccolti durante le sue ricerche sulle opere.
Una forma diversa di restauro virtuale è quella adottata da Factum Arte, organizzazione di fama internazionale fondata nel 2013 da Adam Lowe, artista, restauratore e teorico di successo, impegnata nella valorizzazione e nel recupero del patrimonio artistico mondiale. Il team composto da artisti, ingegneri, architetti, informatici e restauratori ridà vita a opere altrimenti perdute per sempre, basandosi su pochi frammenti, fotografie in bianco e nero, parti dell’opera a volte bruciate, deteriorate e in cattive condizioni, studi storici e archeologici.
Gli artisti si occupano di mappare i diversi materiali usati dall’autore, studiandone i colori sulla base di fotografie e altre sue opere. A questa fase, segue la realizzazione pratica dell’opera che viene successivamente scannerizzata, aggiungendo grazie a diversi software le caratteristiche tridimensionali.
Le nuove tecnologie riescono così in maniera sbalorditiva a riproporre pennellate, sfumature di colori e giochi di luce. La stampa finale, prodotto di digitalizzazione dell’opera artistica manuale, rimaterializza il dipinto originale, rendendolo nuovamente fruibile.
Questi esempi dimostrano come le tecnologie 3D offrano enormi potenzialità al restauro. L’azione combinata di scansione, modellazione e stampa 3D, oltre al supporto dei rendering virtuali, consente infatti di creare ipotesi e suggestioni altrimenti impossibili.
Sicuramente il teorico per eccellenza del restauro, Cesare Brandi, non sarebbe stato d’accordo con il prodotto della fusione di queste discipline così distanti tra loro. L’opera che si presenta ai nostri occhi, soprattutto nel caso di ricostruzione completa, è infatti, secondo la sua teoria, una copia o falso dell’originale. Per noi, invece, pur consapevoli della sua natura, acquista particolare importanza perché ci permette di conservarne la memoria e di apprezzare nuovamente la bellezza creata dall’artista.
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