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L’altra faccia della medaglia

Aggiornamento: 21 dic 2018

Fra i colori troviamo la tela che li fodera e li sostiene. Così vi sono persone che con estrema pazienza hanno il compito di unire il visibile al tangibile rendendo l’insieme reale, persone che accettano di essere invisibili agli occhi degli altri per far emergere le opere d’arte e garantire una corretta armonia dell’immagine.


Viola Sabbadini




Alcuni lo definiscono una via di mezzo tra un pittore e un falegname.

Oltre a questo, però, il restauratore deve avere delle competenze tecniche e un atteggiamento eticamente guidato, che gli consentano la comprensione dell’opera e una delicatezza di intervento. La sua priorità è mettere l’opera in una condizione tale da conservarsi il più possibile nel corso del tempo, per farla “raccontare” di sé negli anni. Un’altra qualità indispensabile a un restauratore è la concisione: saper riassumere e cogliere quello che veramente è indicativo di una diagnosi per un più accurato intervento. Pur essendo consapevole che non sempre l’opera è in grado di offrire da sé una descrizione chiara e completa, il restauratore dovrà comunque intervenire.

La realtà è ben diversa dai falsi miti che si sono creati intorno a questa figura misteriosa e invisibile per la società.

Quando le persone mi chiedono cosa studio, e dico che sono una restauratrice spesso il loro sorriso si trasforma in una smorfia di panico, non avendo la minima idea di cosa sia questa oscura professione. Cercano di sviare il discorso, e i personaggi migliori mi chiedono se gli posso ristrutturare casa.

Se bisogna quindi fare molta attenzione a non lasciarsi ingannare dai facili miraggi di una professione che in realtà si presenta piena di difficoltà, e che ha un percorso lungo e spesso accidentato, nella realtà più quotidiana il mancato riconoscimento del proprio ruolo è di fatto una vera e propria mancanza a cui il restauratore deve adattarsi.

Vi faccio un esempio pratico: lavorando per un cantiere nella Chiesa di Sant’Anastasia a Verona, chiusi da una cancellata della Cappella Cavalli e non nel solito piccolo laboratorio, osservati e fotografati senza sosta dai visitatori, spesso eravamo sfruttati come guide turistiche dai turisti, incuriositi solamente dall’affresco di Pisanello sopra le nostre teste e non dal nostro lavoro.

Ma come è noto spesso noi restauratori non brilliamo per doti comunicative e per chiarezza, e lo stesso vale per molti degli opuscoli e didascalie informative che dovrebbero venire in soccorso al desiderio di comprensione dei fruitori di un’opera.

Bisogna quindi fare in modo che la nostra professione sia il più possibile chiara pur non essendo visibile. Provate a spiegare a qualcuno non del mestiere dov’è stata appianata una scaglia di pellicola pittorica o dov’è stato inserito un inserto…Gli occhi più esperti potrebbero riconoscere un ritocco pittorico, ma niente di più.

Come possiamo comunicare il nostro passaggio tra invisibile e visibile? Non possiamo, se non tramite le relazioni scientifiche, destinate agli esperti del settore.

Ma del resto noi restauratori non cerchiamo la gloria immediata, la visibilità in primo piano, il podio da prima donna, etc. La riuscita del nostro lavoro verrà appurata solo nel momento in cui i figli dei nostri pro nipoti entrando a Sant Anastasia, potranno vedere ancora l’altare nel suo splendore.



Foto da Instagram dei lavori in corso a Santa Anastasia, Cappella Cavalli (VR)


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