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Viaggio nel tempo alla scoperta della conservazione e del restauro

Aggiornamento: 20 dic 2018

Martina Riello



All'interno del laboratorio di una ditta di restauro, è presente un macchinario insolito che comunemente non viene utilizzato per interventi di restauro; il macchinario è infatti una vera e propria macchina del tempo. Tale macchina permette ai restauratori in fase di lavoro di selezionare le opere di cui si stanno occupando e viaggiare all'indietro arrivando al tempo della loro creazione per scoprire i materiali utilizzati, la tecnica artistica dell’autore, l’autore stesso in caso vi fossero dubbi sull'originalità dell’opera e, procedendo verso il presente, osservare come, a seguito di interventi di restauro l’opera sia arrivata fino ai giorni nostri.

Alcuni mesi fa il laboratorio si stava occupando del restauro di una scultura in marmo e di un dipinto.

Durante il restauro della scultura, risalente all'età greco-romana, il restauratore si accorse che il manufatto era composto da parti non coeve tra loro e realizzate con tecniche leggermente diverse. Decise quindi di risalire al momento della sua realizzazione per meglio comprendere lo sviluppo dell’opera. Decise di fare la stessa cosa anche il collega restauratore, incaricato di intervenire sul dipinto su tavola raffigurante una Madonna in trono con il Bambino di epoca gotica ma, similmente al caso precedente, anche quest’opera presentava delle anomalie stilistiche e aggiunte non coeve ad un dipinto del XII secolo, come ad esempio la sua applicazione su supporto tessile.

I due restauratori decisero di impostare la ricerca per entrambe le opere, in modo tale che quest’ultima potesse avvenire contemporaneamente. Una volta impostate scultura e dipinto, i restauratori vennero catapultati nel passato e le opere iniziarono a cambiare sotto i loro occhi. All'interno del laboratorio apparvero volta per volta gli artisti durante la creazione delle loro opere e i “restauratori”, o meglio manutentori che su di esse misero mano.

Iniziando dall'epoca greco-romana, si videro gli artisti del tempo intervenire sulla scultura, operazione lecita ed ammessa per apportare “riparazioni” dei problemi tecnici presenti. Si vide l’artista realizzare l’opera e, ciò che sorprese i restauratori fu che il soggetto rappresentato risultava completamente diverso da quello che avevano di fronte. Videro infatti, procedendo verso il periodo romano che la scultura venne completata nelle sue parti mancanti.

Procedendo in avanti nel tempo si osservò che nel Medioevo la scultura venne considerata materiale di spoglio, il quale comportò un’intervento di “restauro” notevole durante il quale si lavorò e modificò l’elemento per adattarlo ad un nuovo contesto. Si notò inoltre che anche il dipinto subì la stessa sorte venendo trasformato e aggiornato. I restauratori capirono quindi che quanto di ciò che vedevano sulle loro opere non derivava tanto dall'intento dell’artista quanto piuttosto dagli interventi che gli oggetti subirono nel tempo. Fino all'Ottocento, non riconobbero però alcun restauratore, capendo che gli interventi venivano realizzati dagli artisti del tempo, gli unici in grado di intervenire sulle opere.

Spostandosi poi in epoca rinascimentale videro che l’intervento principe che caratterizzò tale periodo fu la “riquadratura” dei polittici e dei dipinti gotici. Osservando il dipinto su supporto ligneo che avevano davanti, capirono che nel Rinascimento furono eliminati quegli elementi tipicamente gotici quali cuspidi e guglie e il tipico fondo oro venne ridipinto con architetture e paesaggi. L’opera che si trovavano davanti sotto quel paesaggio fiorentino, possedeva quindi un preziosissimo fondo a foglia oro e la parte superiore mancante, era costituita una una cuspide con al centro Cristo Pantocrate.

Ma il Rinascimento fu particolarmente importante anche per la scultura marmorea: la si vide infatti, seppur diversa rispetto all’epoca precedente, esposta all’interno di una villa romana, questo permise di capire che in quel periodo iniziò il collezionismo di opere, di statue classiche e di reperti antichi. Come avvenne in epoca romana, dato che la scultura aveva perso i suoi attributi utili per il riconoscimento del soggetto, gli venne attribuito un nuovo significato attraverso aggiunte e/o eliminazioni di elementi.

Arrivando poi al Cinquecento e al momento della Riforma Protestante che minacciò la Chiesa Cattolica, l’arte devozionale realizzata fino a quel momento venne distrutta ed eliminata. Fortunatamente il dipinto gotico in loro possesso sopravvisse alla distruzione ma subì pesanti modifiche della sua iconografia attraverso aggiunte e ridipinture. Questo aggiornamento rispondeva ai dettami della Riforma e venne eseguito dal prete della chiesa in cui essa si trovava, sottoponendo l’opera a pesanti “correzioni” quasi paragonabili a veri e propri atti vandalici.

Mentre i secoli passavano e le opere cambiavano sotto i loro occhi, i due restauratori prendevano appunti e cercavano di fissare nella loro memoria quello che stavano vedendo per costruire poi, non solo la storia conservativa dei due manufatti, ma anche la storia del restauro e di come l’intervenire sulle opere cambiò nel tempo.

Si spostarono poi nel Seicento e videro che il collezionismo privato ebbe delle conseguenze rilevanti sul piano della conservazione dei dipinti. Notarono che il dipinto venne modificato nuovamente per accordarlo alle altre opere presenti all’interno della collezione Papale. Venne sostituita, per la seconda volta, la cornice affinché si riconoscesse l’appartenenza del dipinto in quella determinata collezione. L’opera, sfortunatamente, subì anche l’intervento di patinatura con vernici addizionate a pigmenti, operazione che aveva lo scopo di accordare l’intonazione dei dipinti della collezione tra loro.

Anche la scultura subì ulteriore modifica, a seguito della perdita di alcune parti aggiunte precedentemente; allo stesso modo del Quattrocento venne completata e reintegrata delle sue parti mancanti. Anche in questo caso, l’intervento fu eseguito da un artista del tempo che però, proprio come accade per ogni artista, intervenne rispecchiando la propria cultura ed il proprio gusto.

Verso la metà del Seicento però, videro le opere restaurate da una figura diversa da quella dell’artista, una figura che all’interno della conservazione iniziava ad avere un ruolo ben preciso. Rimasero sorpresi, quindi, nello scoprire che si stava facendo largo la professione vera e propria del restauratore. Sia la scultura che il dipinto non mostrarono notevoli cambiamenti se non la rimozione delle strato di polvere e deposito sovrammesso. I due restauratori capirono che in quegli anni stava iniziando la consapevolezza dell’importanza del passaggio del tempo e della storia sui manufatti artistici.

Procedendo lungo il Settecento, verso la fine del secolo a cavallo con l’Ottocento, il dipinto su tavola subì il trasporto del colore dal suo supporto ligneo alla tela. Operazione particolarmente invasiva e delicata, che giustificò la presenza della tela sul retro dell’opera.

Arrivando poi al Novecento, osservarono interventi sia sulla scultura che sul dipinto rispettosi non solo dei loro materiali costitutivi ma anche della storia dell’opera. Aggiunte, ridipinture e tutti gli interventi che videro nel procedere dei secoli non vennero eliminati, proprio perchè ormai storicizzati e facenti parte della vita e della storia delle opere. Videro le opere sottoposte ad analisi diagnostiche, a test e prove per scegliere i materiali più idonei alla loro conservazione. Videro le lacune integrate con materiali e tecniche non solo riconoscibili ma anche reversilibili.

Terminato il viaggio nel tempo, i restauratori tornarono al presente e, osservando le opere che avevano di fronte, così come tutte le altre presenti nel loro laboratorio, capirono che il restauro da sempre accompagna l’arte prendendosi cura ed intervenendo sulle opere. Scoprirono che silenziosamente e dietro le quinte di un’opera, artisti-restauratori e restauratori veri e propri garantirono e garantiscono all’arte un futuro e la possibilità di essere, o quanto meno sembrare, immortale. Conobbero visioni di pensiero e di intervento tipiche di ogni epoca a seconda dei cambiamenti culturali che l’accompagnavano.

Il viaggio nella storia delle opere consentì ai restauratori di capire che ciascuna di esse, porta con se una storia propria, degli interventi di persone vissute molti anni addietro che, con le loro operazioni, permisero alle opere di arrivare fino ai nostri giorni lasciando all’interno di esse dei “segni indelebili” degni di essere mantenuti e conservati. Capirono che il lavoro del restauratore è “fra i più ingrati che far si possano” così scrisse Secco Suardo, nel suo testo “Il restauratore dei dipinti” (Milano, Hoepli, 1894); questo perché i restauratori, con le loro mani sapienti, mantengono vive nel tempo le glorie di artisti passati, consentendo all’arte e ai suoi artisti di diventare “eterni” e passare alla storia, finché lui rimarrà per sempre un piccolo tassello nella vita dell’opera di cui pochi conoscono e riconoscono l’esistenza ma, alla fine, anche questo fa parte del gioco.


Opera di Benvenuto Cellini realizzata utilizzando un torso classico e aggiungendo gli arti, la testa e l'aquila.
Opera di Benvenuto Cellini realizzata utilizzando un torso classico e aggiungendo gli arti, la testa e l'aquila.

























Polittico di San Domenico da Fiesole dipinto dal Beato Angelico e riquadrato nel 1501 da Lorenzo di Credi su incarico dei Medici. Nata come polittico a fondo oro, questa struttura fu modificata attraverso lo smontaggio delle cornici, l’eliminazione dell’oro e la riambientazione dei santi sui nuovi pilastri.

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